San Leucio
L’affascinante storia del Belvedere di San Leucio (frazione del comune di Caserta) è strettamente legata a quella della dinastia dei Borbone che in questo luogo realizzarono qualcosa di davvero unico, non tanto dal punto di vista architettonico, quanto da quello lavorativo e sociale
Ferdinando IV di Borbone divenne sovrano all’età di otto anni nel 1758, a seguito dell’abdicazione del padre salito sul trono di Spagna. L’utopia di Re Ferdinando di dar vita ad una comunità autonoma lascia a Caserta il Belvedere di San Leucio, i suoi appartamenti reali, il giardino all’italiana e l’annesso Museo della Seta, dove è possibile visitare i macchinari del Settecento col quale si tesseva la seta diventata famosa in tutto il mondo tanto da arrivare ad arredare la Casa Bianca, Buckingham Palace e il Palazzo del Quirinale. Come primo atto nel 1773 decise di recintare tutta la proprietà per evitare la dispersione della numerosa selvaggina, dando inizio a una serie di significativi lavori di ampliamento dell’edificio esistente.Diventerà un progetto molto più ambizioso che il sovrano affidò all’architetto Francesco Collecini (uno dei più stretti collaboratori del Vanvitelli che, dopo la morte di questi, aveva ereditato molti progetti incompiuti del creatore della Reggia di Caserta), consistente nella creazione di una vera e propria città industriale: l’utopistica Ferdinandopoli.
Nello stesso Belvedere di San Leucio, infatti, non furono ospitate solo le sontuose sale della residenza reale, fra cui il meraviglioso Bagno di Maria Carolina, ma anche e principalmente gli spazi della fabbrica della seta. Questa coesistenza di ambienti così differenti per destinazione, rappresentò, senza dubbio, una delle più singolari novità di tutto il Belvedere, al tempo stesso edificio manifatturiero ma anche casino di caccia.
Dietro questo incredibile progetto,vi è sicuramente l’influenza dalle teorie illuministe, in primis quelle del napoletano Antonio Genovesi.
Ferdinandopoli, utopistico progetto, fu la creazione di una vera e propria città della seta, che fu fin da subito chiamata Colonia di San Leucio e della Real Manifattura della seta.
Non si trattava solo di una semplice fabbrica ma di una vera e propria città della seta. Tutta la filiera della lavorazione del prezioso bene, dalla coltivazione dei bachi alla creazione del tessuto finito, si svolgeva in quel luogo che, oltre a contenere i migliori impianti di lavorazione, prevedeva anche la presenza degli alloggi degli operai, costruiti secondo le migliori tecniche edili, tanto che alcuni sono ancora oggi abitati, nonché di diversi altri spazi in comune, di cui godevano gli operai ma anche tutti i dipendenti della fabbrica.
La bachicoltura era praticata dai contadini che vivevano nei dintorni di San Leucio, prevalentemente donne, che si dedicavano all’allevamento intensivo dei bachi da sete nei mesi di aprile e maggio, utilizzando le tecniche più avanzate dell’epoca. Per l’alimentazione dei preziosi bachi da seta venivano coltivati non solo i tradizionali gelsi neri, ma anche quelli bianchi, provenienti da Bologna.
A rendere ancora più sorprendente il progetto di Ferdinandopoli, che ebbe effettivamente inizio nel 1778, dopo un parziale esperimento effettuato in una vicina località chiamata Vaccheria (dall’allevamento di mucche di razza sarda), fu l’emanazione nel 1789 del celebre Codice leuciano, vero e proprio statuto di questa singolare comunità. Ispirato ai più alti dettami illuministi, questo codice prevedeva la totale uguaglianza di tutti i lavoratori, che avevano medesimi diritti e doveri e questo indipendentemente dal sesso. Nella Colonia di San Leucio, infatti, fra uomini e donne non sussistevano differenze. Stessa paga, identico orario di lavoro (11 ore complessive contro la media europea che era di 14), identici obblighi dentro e fuori della fabbrica. Il codice, oltretutto, aboliva la proprietà privata, garantiva una particolare assistenza per anziani e infermi, vietava i matrimoni combinati, piaga molto diffusa in tutti gli strati sociali, e la triste realtà del lavoro minorile. A San Leucio i minori non potevano lavorare. Per loro, fino al compimento del sedicesimo anno, sussisteva l’obbligo scolastico, da adempiere prima attraverso un corso di studi primario, consistente nell’apprendimento della lettura, della scrittura, della matematica e del catechismo, e poi con corsi di tipo professionale, perlopiù incentrati sulla conoscenza di tutte le fasi della lavorazione della seta. Ad insegnare ai giovani ma anche agli adulti, perlopiù contadini dei dintorni a cui in seguito si unirono masse di lavoratori provenienti da vari stati italiani, furono chiamati i migliori professionisti, soprattutto francesi e inglesi.
Gli importanti investimenti profusi portarono considerevoli risultati, al punto che le sete prodotte a San Leucio furono fin da subito ambite dai più importanti sovrani d’Europa, ma anche dai ricchi uomini d’affari che desideravano possedere nelle loro sfarzose case quelle preziose stoffe.
Durante i mesi della Repubblica Partenopea, la fabbrica fu oggetto di atti di vandalismo e di ruberie varie ma con il ritorno del re le sorti di San Leucio tornarono a brillare. Nel 1801 inizia la costruzione della chiesa di Santa Maria delle Grazie alla Vaccheria, che verrà inaugurata nel 1805. Realizzata su progetto del solito Collecini, l’edificio, ispirato allo stile neogotico, fu completato in modo decisamente singolare dall’architetto Patturelli, divenendo il fulcro di tutto il borgo.
Con la conquista del Regno delle Due Sicilie da parte dei francesi nel 1806 la fabbrica di San Leucio vide nuovi e importanti investimenti, specie nel periodo “murattiano” che comportarono l’ampliamento della struttura e la trasformazione di San Leucio in comune autonomo. Con la caduta di Murat e con la Restaurazione San Leucio tornò proprietà dei Borbone ma questo non significò affatto la perdita di importanza del sito industriale che continuò a sfornare prodotti di pregio, specializzandosi, in particolare, nella realizzazione di grandi parati che andarono a decorare le stanze delle regge inglesi, russe e di diversi stati italiani.
I primi segni di crisi si intravidero con l’Unità d’Italia, anche a causa delle numerose dispute amministrative relative alla proprietà della fabbrica, inizialmente demaniale e poi comunale. Fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo il sito tessile passò in mano a privati che, tuttavia, non seppero gestirla al meglio, tanto che nel 1910 l’intera struttura, a seguito del fallimento, chiuse i battenti. Nel 1920, però, grazie all’acquisizione della fabbrica da parte di una famiglia leuciana, i De Negri, la produzione tessile riprese ma non più con i livelli precedenti.
La chiusura definitiva dell’opificio avvenne sul finire degli anni Settanta, quando l’attività industriale fu trasferita in una nuova sede e per il Belvedere di San Leucio iniziò il periodo più triste. L’abbandono di tutto il complesso, la mancanza di un’adeguata protezione del palazzo e di tutti gli altri locali, determinò ruberie, degrado, crolli che interessarono quasi tutta l’area, specie le sale reali affrescate da Fedele Fischietti, il celebre bagno di Maria Carolina, mirabile esempio di decorazione eseguita con l’antica tecnica dell’encausto, nonché dei molti telai presenti nella struttura. Si salvò da questo abbandono generale, soltanto la piccola chiesa interna a pianta quadrangolare, che era stata dedicata a San Ferdinando di Castiglia e che continuò ad essere attiva come parrocchia per tutto il Novecento.
Nel 1985, per fortuna, la lungimiranza degli amministratori locali e la volontà di investire di privati, aprirono una lunga stagione di restauri che permisero la riapertura del complesso leuciano al pubblico. Oggi il complesso monumentale del Belvedere di San Leucio è visitabile tutti i giorni, eccezion fatta per il martedì.
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